Antico mestiere praticato fino agli anni Cinquanta del secolo scorso e soppiantato dall'arrivo dell'epoca del consumismo sfrenato. Nella mia mente rivivo le polverose strade di quartiere dove, periodicamente, risuonava il vociare di un uomo che annunciava la sua presenza abbanniannu:“va cunzativi u lemme”, a quel richiamo una donna dal viso rugoso, scavato dalla fatica, vestita a lutto, necessitando della sua opera, si affacciava dal cortile e lo invitava ad entrare a casa per mostrargli dei piatti od altri manufatti in coccio, come brocche, lemmi, giare, accidentalmente rotti, che necessitavano di essere riparati per un prossimo impiego. La figura del mastro “conza lemmi e piatti”, di pirandelliana memoria (vedi Zi Dima), nella novella tragicomica “La Giara”, prestava la propria opera aiutandosi con i ferri del mestiere, quali: lesine, fil di ferro, mastice, trapano ad archetto egizio*, che erano gelosamente conservati in una “coffa di curina”, ricavata da foglie di palma nana intrecciate. Il mastro, con movimenti rapidi e sicuri delle mani, con compostezza professionale, si apprestava a riparare il manufatto.
Maneggiando abilmente il trapano, accostava le parti e, praticando dei fori verticali e in corrispondenza tra loro, cospargeva di mastice i due lembi, che in fine venivano ricuciti con il fil di ferro, avvalendosi dell’uso di una pinza. A lavoro completato, la donna soddisfatta, dopo aver ricompensato, non sempre con soldi ma spesso con prodotti agroalimentari -vedi ceci, fave, olio, farina ecc.- (vigeva il baratto), tornava ai lavori di casa, mentre mastro Saro, nome convenzionale, riprendeva la strada, annunciando la sua presenza, con il solito ritornello “Itivi a cunzari u lemmi”.
* La storia attribuisce l'invenzione dall'archetto ai popoli INUIT, usato fin dal V millennio a.C. pure dagli egizi, dai quali prende il nome.
Campobello di Mazara 14/05/2022
ANTONINO GULOTTA
PRESIDENTE ARCHECLUB
CAMPOBELLO CAVE DI CUSA
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