MULINI, TRA SOGNO E REALTÀ
- ARCHEO CLUB
- 2 gen
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Non siamo in terre di Spagna, dove l'aspirante cavalier Don Chisciotte della Mancia sfidò a singolar tenzone i mulini, ci troviamo bensì a Campobello di Mazara, ed esattamente in via Piave angolo CB10, al cospetto di ciò che resta di

un mulino a vento. Tale struttura, in assenza di idonei corsi d'acqua, venne ubicata a Nord-Est del nostro territorio, dominato dal maestrale e dallo scirocco, su un pianoro di roccia tufacea-calcarea, che forma un balcone naturale e offre una splendida visuale sull'intera valle del Belice.

Detta opera venne verosimilmente completata nell'anno 1901, come si può leggere in una foto gentilmente concessa dall'attuale proprietario, nella stessa sono leggibili alcune lettere, forse le iniziali del vecchio proprietario o di qualcuna delle maestranza che ha costruito l'opera.
All'epoca questo ex mulino era adibito alla macina di cereali quali grani o orzo, innovando la produzione di farine precedentemente prodotte in casa o nelle masserie usando strumenti antichi, come le pietre di mola azionate a mano, che risultarono utili per sfuggire all'odiosa e aberrante tassa sul macinato imposta dai governanti, all'indomani dell'Unità di Italia.

Il lotto di terreno, compreso ciò che rimane della costruzione, successivamente è stato vincolato dal Piano regolatore comunale con destinazione urbanistica classificata in F6, da adibire quindi a museo etnoantropologico. Al momento, purtroppo, sembra che nessun interesse si manifesti per il recupero sia pubblico che privato.
Nel limitrofo comune di Castelvetrano, invece, lungo il corso del fiume Modione, chiamato anche Anedda, ex Selinus, che nasce in territorio di Santa Ninfa in c/da Tre

Serroni e si snoda per chilometri ventisette, di mulini se ne contavano dodici e venivano azionati dalle acque fluviali. Ne ricordiamo i nomi di alcuni: Garofalo, Mulinello, Paratore, Mangogna, Errante, La Rocca e Garibaldi, precisando che tutti sono ormai inattivi, diruti e/o abibiti ad altre funzioni. Oggi il Modione vomita nel Mediterraneo le sue acque scarsamente depurate e dal colore viola per lo scarico di frantoi e non solo, inquinando così le coste di Triscina e Tre Fontane. Nel mentre la penna scorre sul foglio, un indelebile ricordo infantile, l'esperienza con le rane, affiora alla mente, un ricordo legato a uno dei mulini menzionati: lu Paraturi, frequentato da nonno Nicolò e da mio padre, che si servivano di detta struttura, recandosi

colà con cadenza settimanale per la macina dei grani, poiché fornai. In uno dei soliti viaggi, mio padre mi portò seco, avevo circa 8-9 anni. Arrivati sul sito, non mi stupì l'edificio con il suo armamentario né il grosso mugnaio dal bianco grembiule, la mia attenzione fu attratta quasi per magia da un'ansa, creata dal fiume in magra, poco distante dalla struttura e formata da un velo d'acqua dalla cristallina vitrea trasparenza e armoniosa di suoni, puntellata da grossi ciottoli bianchi, formazioni tipiche dei fiumi che solcano il territorio di Castelvetrano: il Belice, il Modione e il Delia. Su alcuni ciottoli prendevano il sole delle rane dal dorso dorato, forse

invocavano Ermes, vista la presenza di natrici. Ai miei occhi si apriva uno scenario incantato, un mondo da fiaba, mi sentii dentro a una favola e nel vano tentativo di agguantarne alcune riuscii solamente a inzupparmi d'acqua pantaloni e scarpe, mi fu, invece, facile catturare delle tartarughine che brucavano fuori dall'acqua.
L'incanto però finì, mi ritrovai ben presto tremante dal freddo al caldo di un cufularu – focolaio – ardente per riscaldarmi e asciugarmi scarpe e pantaloni. Nel contempo osservavo lu zi Caloiru, lu mulinaru, che con uno strano coltello, forse ricavato dalla baionetta appartenuta a qualche miliziano che durante il periodo bellico presidiava l'impianto, tranciava con perizia millimetrica una sfoglia di pasta arrotolata per ricavarne delle lasagne che, cotte e condite con il sugo di pomodori siccagni, venivano servite e consumate dai clienti rigorosamente utilizzando lu scannaturi.

Ora tutto questo è scomparso, il mulino di Campobello di Mazara è rimasto a sfidare il tempo in attesa di giudizio, il mio sogno sparito, il Modione è stato trasformato in una saia a cielo aperto, lontano dagli antichi splendori, e ospita una nutrita schiera di ratti, offrendo loro un habitat congeniale.
CAMPOBELLO DI MAZARA 02/01/2025
IL PRESIDENTE DELL'ARCHEOCLUB
CAMPOBELLO CAVE DI CUSA
ANTONINO GULOTTA
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