Tutto ebbe inizio con la Rivoluzione industriale del lontano 1760, che innesca un processo di evoluzione economica, segnando il passaggio da una fase prettamente agricola, artigianale e commerciale a una industriale.
La trasformazione economia nasce in Inghilterra e si diffonde in tutta l'Europa, gradualmente raggiunge anche l'insularità della nostra Penisola. Tale evento modifica radicalmente le abitudini dei popoli, costringendoli ad adattarsi a nuova vita.
Si abbandonano le zone rurali, si innesca un processo di inurbamento, gli artigiani migrano, gli operai forniscono forza lavoro a basso costo, i cavalli motore sostituiscono il lavoro a trazione animale, eseguito da cavalli, muli ed asini e con essi iniziano a scomparire attività e maestrie a loro connesse. I secoli passano e le trasformazioni avanzano con un ritmo sempre più sostenuto.
In una sfocata lontana memoria infantile (1950?), mi ricordo l'opera dei fratelli Palminteri, Nanà e Rusulino, Maestri artigiani dell'Arte della mascalucia, ossia, maniscalchi, che esercitavano la loro professione nella via Archimede in un affumato nerissimo locale, nel quale troneggiava una forgia alimentata a carbon coke metallurgico, ravvivato da un grande mantice azionato a mano.
Fili di quadrupedi stazionavano nei pressi della loro bottega, aspettando la mano e il turno per un servizio di ferratura.
La porta accanto a tale attività era quella di una sgangherata catapecchia in cui viveva una donna nomata "Rosa la Scocca", della quale nessuno conosceva origini e cognome, forse una figlia di Maria. Viveva in un’estrema ma dignitosa povertà, raccoglieva per strada gli escrementi animali di ogni genere, li accatastava nel suo cortile, per poi venderli per pochi soldi agli agricoltori, erano l'unica fonte del suo guadagno.
Sbarcava il lunario così, assicurandosi un tozzo di pane raffermo, per qualche pasto caldo si serviva di un "cufularu" (focolaio) in pietra e per pentola utilizzava una latta, forse residuato bellico, con manici in fil di ferro.
Donna misteriosa, vestiva di una mise con mille rattoppi variopinti (forse da qui “scocca”) che rendevano impossibile il riconoscimento del tessuto originario, portava i capelli raccolti a "murriuni" in un "fazzulituni" nero. La ricordo munita di "cuparinu" di "tassu" e di una “coffa” di "curina", suoi attrezzi di lavoro; a chi la rimbrottasse, anche con verbo offensivo, lei garbatamente con i suoi occhi magici rispondeva con regale maestà ed umiltà, con la voce del silenzio. Sicuramente una grande figura antropologica.
Nessuno desiderava la sua vicinanza, nemmeno i parenti che alla sua morte litigarono per spartirsi un modesto gruzzolo di monete che trovarono scavando nel letame: "Pecunia non olet!"
CAMPOBELLO DI MAZARA 17/03/2024
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