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Viaggio nei luoghi della Nocellara del Belice

Cos’è l’ulivo se non il simbolo delle fertile coste di Sicilia che si specchiano su un mare azzurro e cristallino, che i romani chiamarono prima “internum” e poi“nostrum”, saldamente ancorato alla terra o alla roccia, contorto e nodoso per resistere alle intemperie e ai venti, soprattutto allo scirocco: “simbolo stesso di un commercio che sospingeva gli uomini e le idee alla conquista di nuovi spazi. Non per caso era di legno d’ulivo il talamo nuziale che Ulisse, eterno viaggiatore, aveva costruito con le proprie mani” per Penelope.


Albero bello e maestoso, con legno duro e pesante, indicato da Culumella, nel suo “De Rustica” (I secolo d. C.), come il primo tra tutti gli alberi: “olea prima omnium arborum est”.

Nell’Isola: “il patrimonio genetico autoctono dell’olio siciliano è tra i più rilevanti di tutto il Mediterraneo”, così è riportato nello studio sulle varietà d’ulivo redatto dalla Regione Siciliana e dal Dipartimento di Culture Arboree - Università degli Studi di Palermo nell’ambito di un progetto per la valorizzazione e la tutela del patrimonio variale siciliano dal processo d’erosione genetica e dalle speculazioni vivaistiche. Dallo studio emerge che in Sicilia esistono oltre 60 varietà d’ulivi.

Di recente l’Assessorato Regionale all’Agricoltura, utilizzando il metodo della caratterizzazione degli oli a denominazione d’origine, ha condotto uno studio interessate, difatti, emergono i profili organolettici: “con i principali attributi delle sei DOP siciliane e della collezione Carboj che accoglie le varietà e la risorse genetiche autoctone dell’Isola”. Pertanto è possibile distinguere gli oli in tre categorie: oli fruttati leggeri; oli fruttati medi; oli fruttati intensi. Quest’ultimi caratterizzati da sensazioni di fruttato attribuito a gusti olfattivi intensi che possono essere utilizzati in preparazioni più impegnative come carni cotte alla brace, oppure, per esaltare leggermente le insalate e le verdure lesse. In questa categoria rientrano, di diritto, gli oli prodotti dalle cultivar Cerasuola, Verdese, Nocellara Etnea e Nocellara del Belice che sovente il loro fruttato può superare benissimo il valore di 4. Proprio la Nocellara del Belice è l’unico prodotto in Europa ad avere due DOP per la stessa varietà “Valle del Belice” per l’olio (GUCE L. 273 del 21.08.2004) e “Nocellara delBelice” per l’oliva da mensa (GUCE L. 15 del 21.01.1998). Ancora, l’oliva Nocella del Belice è usata anche per la produzione del “Belicino” un tipico pecorino fresco senza crosta, riconosciuto prodotto agroalimentare tradizionale (P.A.T.) siciliano, stilato dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MIPAAF).


La Valle del Belice è costituita da un comprensorio entro il quale si estende il corso del fiume Belice, l’antico Hypsas selenuntino. E’ questo l’areale in cui la Nocellara si estende, a perdita d’occhio, su un ampia superficie nei territori di quattro comuni della provincia di Trapani: Campobello di Mazara, Castelvetrano, Partanna e Santa Ninfa, con una produzione media annua di 300 mila quintali di olive. A loro volta essi sono sedi di antichi feudi: Birri Baida, Latomie, Seggio, Zangara (con le contrade Pietrapitrulla e Inchiusa), Dimina, Grifeo, Rampinzeri, Fontanelle, Canalotto, Bresciana (suprana e suttana), Maggio, Marinella, Belice adiacente mare (Casazze, Nuove Case, La Via e Serralonga), Besi, Torretta, Montagna, Mandranuova, Delia-Trinità, Giallonghi, Furone, Funarello, Galasi, etc. Sono questi i luoghi della memoria e dei sapori, dove l’Olea Eupopaea, impiantata in filari regolari, racconta di una storia millenaria. E’ il caso dell’ulivo di Nocellara che si trova dentro le Latomie del Barone, le antiche cave selenuntine che gli arabi chiamarono Bugifiler, che vanta 1000 anni visto che venne innestato su un olivastro nello XI secolo. Contorto con una corteccia di colore grigio scuro, presenta una ceppaia con strutture globose che penetra nella calcarenite della cava. Sembra quasi riceve linfa vitale dalla dura roccia sedimentaria clastica. La chioma ha una forma conica con branche fruttifere e rami penduli disposti orizzontalmente rispetto al fusto. E’ un vecchio patriarca che narra di un’epoca in cui i grandi viaggiatori (XVI-XIX secolo) scoprirono che i ruderi della “Terra di li Pulici” altro non erano che i resti dell’antica città di Selinunte. Compresero allora che: “ci sono (…) posti remoti, (…), non dissacrati, posti che smemorano dal presente, che rapiscono nel passato”, come giustamente sottolinea Vincenzo Consolo, e Selinunte unitamente ai luoghi di produzione della Nocellara del Belice, di sicuro, lo sono.


Ps. si ringrazia il socio Professore e Antropologo Isidoro Passanante per il contributo.




Campobello di Mazara 04/11/2021


IL PRESIDENTE DELL'ARCHEOCLUB


ANTONINO GULOTTA

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